Tra cambiamento e incertezza, l’antidoto è la ‘Rapsodia blasfema’ di Emio Greco e Pieter C. Scholten. Prima nazionale sabato 6 novembre al Teatro Comunale di Ferrara
La prima nazionale di “Blasphemy Rhapsody” era prevista a novembre dello scorso anno, sempre a Ferrara. Ora i tempi sono finalmente possibili per accogliere per la prima volta in Italia il nuovo lavoro di Emio Greco e Pieter C. Scholten sabato 6 novembre ore 20.30 al Teatro Comunale di Ferrara.
“Blasphemy Rhapsody – La volubilità delle certezze” nasce in un momento storico – quello della pandemia da coronavirus – in cui ogni certezza sociale, umana, professionale non trovava più alcuna radice in un’unica visione di cultura. I ballerini, costretti a non poter costruire assieme ai coreografi ogni tipo di coreografia e spettacolo, hanno dovuto trasferirsi a vicenda input che permettessero di creare nuovi stimoli relazionali, anche tra loro stessi, pur restando a distanza. Il loro luogo di creazione e di creatività è stato dunque quello che per antonomasia è rifugio di certezze fisse: la casa. Un ambiente che è mutato in pochissimo tempo da luogo di passaggio a spazio da riempire. Nel momento in cui decadono certezze indissolubili si aprono nuovi spazi, che non nascono da un’idea, ma al contrario entrano a far parte di una visione maggiormente estesa e pronta al rapido cambiamento.
Proprio Emio Greco e Pieter C. Sholten a ottobre sono stati premiati con il Golden Swan, prestigioso riconoscimento per il loro contributo alla danza contemporanea e per il fascino internazionale del loro lavoro. Blasphemy Rhapsody, prodotto ICK Dans Amsterdam, ha debuttato ad Amsterdam a luglio. In scena gli interpreti dell’ICK-Ensemble (tra cui lo stesso Emio Greco) e ICK-Next.
“Spieghiamo le ali. In sottofondo la canzone “Around the World” dei Daftpunk. Al primo alito di vento ci mettiamo in movimento. Anche se siamo spinti in alto, i nostri piedi restano ben ancorati al suolo. Blasphemy Rhapsody diventa un rito danzato nel quale le certezze vengono sacrificate. Un invito ad abbracciare la mutabilità della vita” spiegano i due coreografi, che si domandano cosa fare, dunque, per frenare la transitorietà: “Toccare il divino o divorare il terreno? Mantenere la distanza o abbracciarsi a morte? Il modo in cui danziamo non potrà mai essere separato dal modo in cui viviamo come comunità: la pizzica, danza tradizionale e selvaggia del Sud Italia originariamente usata per espellere il veleno della tarantola dal corpo umano, divenne un rimedio collettivo contro la depressione in tempo di povertà; il charleston nasceva negli anni tra le due guerre mondiali come reazione alle rigide etichette sociali pre-belliche e ha segnato la liberazione dalla costante agonia del primo conflitto mondiale. In Blasphemy Rhapsody – affermano Greco e Scholten – seguiamo le tracce di un virus senza precedenti. La coreografia è stata creata in circostanze eccezionali caratterizzate da distanze obbligate e nasce da un forte bisogno di progresso. Danza e società sono saldamente interconnesse: We are the people”.
Come avviene nella pizzica – danza del Salento, terra d’origine di Greco – o nella tarantella, i ballerini in scena cercano uno “scontro e un attrito costruttivo” utilizzando la danza come liberazione dalla morte, non solo fisica, ma declinata ai tanti costrutti dell’anima, mantenendo allo stesso tempo una solidità terrena che, a detta dei coreografi, è determinante nella definizione di “sacro”.