Teatro Comunale di Ferrara: La morte e la fanciulla.
La Stagione di Danza 2019/2020 del Teatro Comunale di Ferrara prosegue mercoledì 15 gennaio alle 21 con La Morte e la fanciulla con la regia e coreografia di Michele Abbondanza e Antonella Bertoni, sul celeberrimo omonimo quartetto d’archi di Franz Schubert.
Sul palco tre giovani figure femminili (le danzatrici Eleonora Ciocchini, Valentina Dal Mas e Claudia Rossi Valli) evocano il tema del rapporto fra eros e thanatos svolto sul pentagramma da Schubert ed enunciato da Matthias Claudius, autore del lied Der Tod und das Madchen cui il celebre quartetto (scritto nel 1824, in piena temperie romantica) è ispirato. I loro corpi nudi, come al cospetto della morte, – si segnala la presenza di nudo integrale in scena – seguono gli impulsi della musica, che nell’intento della compagnia Abbondanza/Bertoni è il motore primario di tutto il lavoro, arricchito dal ricorso al linguaggio audiovisivo.
«Il nostro pensiero torna a posarsi sull’umano e su ciò che lo definisce: la vita e la morte, l’inizioe la fine sono i miracoli della nostra esistenza », spiegano gli autori nelle note di regia. E proseguono: «Questo transitare da una forma all’altra ha a che fare con l’arte coreutica, col suo essere essa stessa un balenare di forme che appaiono e scompaiono continuamente … Per questo abbiamo indugiato proprio su quell’aspetto che potremmo definire “crepuscolare” della danza, colta, nelle nostre intenzioni, proprio nel suo attimo impermanente e transitorio ».
Dal punto di vista drammaturgico la coreografia incarna la Fanciulla, mentre il linguaggio video rappresenta la Morte. L’una è una sorta di stenografia bruciante, che segue rigorosamente, fino all’eccesso, gli impulsi musicali ottocenteschi e romantici. L’altro riproduce l’immagine che la Morte ha di noi. È uno sguardo sul contemporaneo: sfalsato e distorto, che ci restituisci un presente virtuale in antitesi con l’accadimento live della coreografia.
Vincitore del Premio Danza&Danza 2017 come miglior produzione italiana dell’anno, lo spettacolo amplia il racconto schubertiano della fanciulla ghermita dalla morte in una metafora della bellezza rapita, fragile, sublime ed effimera della danza stessa, divenendo un’opera visionaria, dai tratti espressionisti, sviluppata in mirabile sintonia con la partitura.