Sylvia nasce nel 1876 con le coreografie di Louis Mérante ma al debutto solo le musiche di Léo Delibes si salvano dalla critica che la definisce una coreografia noiosa. In realtà il balletto sarà poi largamente apprezzato dal pubblico nelle versioni successive come quella di George Balanchine, Frederick Ashton o di John Neumeier.
Sylvia di Manuel Legris, in coproduzione tra lo Staatsballett di Vienna ed il Teatro alla Scala, è andato in scena per la prima volta a Milano ieri sera.
Il balletto è per il coreografo un bellissimo ricordo dei suoi anni adolescenziali all’Opéra di Parigi ed è stato fortemente voluto per celebrare la tradizione classica, nonostante la coreografia sia stata ricreata completamente. La protagonista è una ninfa che ha dedicato tutta se stessa a Diana, la dea della caccia, facendo voto di castità. In realtà sotto queste spoglie si cela una donna passionale, di carattere, che sa e ottiene ciò che vuole. E’ una sorta di ninfa emancipata, dei nostri giorni. E così, quando il dio dell’amore, Eros, appare nella sua vita e la fa soccombere al fascino del pastore Aminta, lotta per averlo, padrona del suo destino. Il personaggio di Sylvia è quindi quello di una donna forte, capace, per amore, di opporsi alla sua dea e di abilmente liberarsi con astuzia e caparbietà dalle grinfie di Orione.
La Diana di Legris è una figura importante che chiarisce nel prologo quanto spesso ci sia incongruità tra ciò che vogliamo essere e ciò che poi siamo: tenta, infatti, di mostrarsi come esempio di rettitudine e si ricrede alla vista di Endimione, impersonato ieri sera da un rassicurante e pacato Gabriele Corrado. Nel ruolo della dea: Maria Celeste Losa che appare sicura di sé, precisa ed accurata nei movimenti e perfettamente calata nella parte.
Sylvia ben si addice a Martina Arduino che irrompe in scena con piglio deciso e tecnica brillante, ben evidenziando il carattere e la caparbietà del personaggio. La affianca un leggiadro pastore Aminta , un Claudio Coviello perfetto fino alla fine negli innumerevoli salti che gli impone la coreografia.
Christian Fagetti, nel ruolo di Orione, movimenta lo svolgersi del balletto cercando di contrastare gli amori di Sylvia e Aminta, aiutando così a smorzare una trama che potrebbe apparire noiosamente bucolica.
Infine, il quadro non sarebbe completo senza Eros, Nicola del Freo, bello ed imponente come dev’essere il dio dell’Amore. Con il corpo quasi nudo coperto di polvere d’oro diffonde con grandi salti pace e bellezza tra i contendenti. Nel bel mezzo, salti faunistici di Federico Fresi eseguiti con qualità.
Manuel Legris ha disegnato la sua coreografia dinamica ed impegnativa con innumerevoli virtuosismi, quali susseguirsi di grands jetés e pirouttes in attitude, che richiedono un pregevole livello tecnico per tutti i ballerini. Precisi ed eleganti épaulments lungo tutto il fraseggio coreografico rimandano ad epoche mitologiche.
Qualche imprecisione nel III Atto, quando il ritmo incalzante della musica di Delibes riunisce i due amanti dopo la festa di Bacco, non lascia comunque dubbi sul livello eccellente e stato della compagnia.
Le scenografie ed i costumi firmate da Luisa Spinatelli sono inconfondibili per una rivisitazione di un classico di repertorio.
Ottimo il riscontro del pubblico che ha applaudito lungamente tutti gli interpreti riservando anche sentiti applausi al direttore d’orchestra Kevin Rhodes.
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