Venerdì 14 marzo al Teatro Rossini di Pesaro debutto in prima assoluta di Stabat Mater della coreografa ferrarese Monica Casadei, nuovo lavoro dedicato all’opera di Gioachino Rossini.
Lo spettacolo, un tributo corale all’anima delle donne, al loro amore universale, incarnato dalla madre per eccellenza, rappresenta l’evoluzione di un percorso di ricerca pluriennale che la coreografa ha dedicato all’incontro fra danza e musica religiosa. Stabat Mater è una preghiera collettiva, senza tempo per una mater dolorosa, un cuore di donna infranto dal dolore, una mater lacrimosa che cristallizza nell’istante del compianto la tragedia della perdita di un figlio. Il corpo diventa il mezzo per raccontare l’esperienza emotiva di chi affronta la trasformazione del legame primordiale tra madre e figlio. La performance si fa grido e sussurro, fragore e silenzio, dando voce a un amore che trascende la perdita e che non cessa mai di illuminare. Stabat Mater offre un profondo e commovente affresco della maternità, in una tensione profonda e lirica tra dolore e speranza, che rende la sofferenza della madre un simbolo universale di empatia e resilienza. La potenza della composizione di Rossini gioca un ruolo cruciale nel veicolare l’intensità emotiva del testo e la dinamicità musicale eleva la narrazione da lamento a canto di speranza. Le suggestive immagini create da Giuliano Del Sorbo si materializzano in un live painting dal tratto potente.
“Lo Stabat Mater – racconta Monica Casadei – è per me emozione pura, una vera e propria esperienza spirituale, un percorso all’interno del sentimento profondo di una madre che perde il figlio. Stabat è lo stare della madre di fronte al figlio senza vita, una postura fisica, emozionale e psicologica. Il dolore, l’amore, la disperazione è tutto in quello stare, in quella postura. Resistere, affrontare l’accadimento più doloroso. Una madre, tante madri hanno vissuto e stanno subendo un’ingiustizia, una perdita. Corpi di madri disorientate, attonite, supplicanti e al contempo resilienti, pronti allo stare in quella postura diventando il simbolo della vita di fronte alla morte e della vita oltre la morte. Donne che attraversando e sprofondando in quel dolore, rinascono forti e pronte a tutto. Sono guerriere coraggiose, simbolo di struggimento e al contempo di dolcezza. La resurrezione finale dell’ultimo brano dello Stabat l’ho vissuta come nascita di nuove forze. Il coraggio e la passione che nascono dal non avere più nulla da perdere e da temere. Un nuovo sentimento di libertà e propulsione della vita stessa. Morte e vita, vita e morte, un connubio indissolubile. Uomini che in ogni istante sono in un calvario, in una via crucis interminabile. Madri che partoriscono i loro figli, li accolgono, li accarezzano per poi vivere lo strazio dello strappo. Corpi amabili, amorevoli, accoglienti, corpi tenaci e impavidi che corrono verso una nuova nascita. Lo Stabat Mater è una condizione universale e sacra di fronte alla cui ci inchiniamo, ci inginocchiamo, liberando tutte le nostre fragilità e sprigionando l’amore più puro”.