È all’insaziabile passione di Marianna Troise per una danza forte e leggera – e per l’acrobazia, le arti visive, la poesia, la parola e gli incontri con artisti, critici, gente di strada… – che è dedicato il nuovo appuntamento di Ravenna Festival con il Progetto RIC.CI, ideato e diretto da Marinella Guatterini e votato a dare risalto e rimettere in moto la memoria della danza italiana degli anni Ottanta e Novanta.
Martedì 21 maggio, alle 21 al Teatro Alighieri, è in scena Fragili film / Solo agli specchi, scorcio riassuntivo di un’attività polimorfa e poliglotta nel quale la parola della poetessa Milli Graffi s’imbeve nel movimento e ne è imbevuta.
Marianna Troise – il cui fiuto l’ha resa, già negli anni Settanta, un pilastro della contemporaneità teatrale in Campania, ma con molti addentellati in musei e gallerie d’arte anche all’estero – scrive: “Il gioco dello specchio continua, più intrigante che mai; non è più solo il mio riflesso che vedo, ma le sue parole saccheggiate che mi ritornano (in)contro, cariche del mio gesto, aggredite dalla mia esuberanza. Nel gioco dei contrasti percorro una pista già nota e vado… al mio ritorno”.
Forte di una stretta liaison con le arti visive, oltre che di una preparazione nello specifico della danza come allieva prediletta di Greta Bittner – didatta austriaca trasferitasi a Napoli, proveniente dalla Scuola di Émile Jaques-Dalcroze ma non riluttante a insegnare la tecnica accademica alle sue allieve partenopee – Marianna Troise ha vissuto passaggi epocali della “nuova danza italiana”. Negli stessi anni in cui si affacciava in Italia Pina Bausch, Troise escogitava un proprio teatrodanza forte e poetico, creando spettacoli che meritano ripresa al pari di Fragili film – Solo agli specchi, quest’ultimo titolato originariamente Soliloquio della sposa nera e premiato a Parigi nel 1986. L’artista anticipò un pensiero e una pratica di lavoro che, alla finitezza dello spettacolo compiuto, “chiuso”, privilegiava un’opera aperta che vive in continua, necessaria, mutazione. Siano state creazioni di gruppo oppure no, la forza onirica dello sguardo tenero e leggiadro di Marianna Troise si è posata su di un mondo fastidiosamente bellicoso, sgraziato, così pungendo con le lacrime agli occhi: proprio come in quello Sposalizio “in nero”.
Fondatrice negli anni ’80 di Caiv Danza e Compagnia Ottantasei, Marianna Troise è stata protagonista di eventi-spettacoli, performance, rassegne, stage didattici e interventi interdisciplinari. Cessata l’attività di gruppo, ha continuato a lavorare: non più sui corpi dei suoi danzatori o su se stessa (salvo nello straziante La Danza in corpo per Viaggiatori senza bagaglio), ma con gli oggetti, la tecnologia, le parole, i dipinti, quasi sempre spalleggiata da Achille Bonito Oliva, il celebre critico della Transavanguardia, e prediletta da Gillo Dorfles. Le vicissitudini che hanno diradato le sue apparizioni coreografiche hanno anche reso più scarno e potente un linguaggio all’inizio tracimante di colori, come accade nel minimale e rituale Le tessitrici del tempo in più (2003). Consapevole di essere un’artista a tutto tondo, Troise ha continuato a veleggiare lungo i suoi percorsi imprevedibili.