Il nuovo lavoro di Fattoria Vittadini, creato e interpretato da Chiara Ameglio, è in programma al Teatro Elfo Puccini di Milano dal 12 al 17 febbraio.
Tra eco da Il Minotauro di Dürrenmatt, TRIEB_ l’indagine è una riflessione sul concetto di identità e complessità dell’essere umano, sulle sue luci e le sue ombre, sull’affrontare le proprie paure e sulla capacità di amare ciò che ci rende imperfetti.
Non poteva che essere l’Elfo Puccini di Milano, teatro che da anni apprezza e sostiene il lavoro di Fattoria Vittadini (collettivo milanese che quest’anno celebra i 10 anni dalla nascita), ad ospitare la prima milanese e regionale, dopo il debutto a Genova, di TRIEB_L’indagine, assolo creato e interpretato da Chiara Ameglio, alla sua prima esperienza come autrice e coreografa.
Anche la cornice temporale, dal 12 al 17 febbraio, non poteva essere più azzeccata: la pièce è infatti ambientata nel giorno di San Valentino e offre uno spaccato dell’esistenza di una giovane donna che, chiusa in una stanza, come un Teseo al femminile si perde nel labirinto di sé stessa. Chi è? Cosa ha fatto?
Riflettendo sul concetto di unicità e complessità della persona, sulla coesistenza di luce e ombra in ogni identità, lo spettacolo mostra l’esperienza di una liberazione e di un’ammissione. La protagonista è sospesa nel tempo, tra l’umano e il mostro. Cosa accade se incontriamo quello che ci fa più paura? Siamo capaci di amare anche ciò che ci rende imperfetti?
Chiara Ameglio, affiancata da Marco Bonadei per una regia e drammaturgia a 4 mani, dice: “Attraverso uno stato performativo fatto di onde emotive, trasformazioni e decadimenti, l’obiettivo dello spettacolo è quello di essere un’esibizione dell’ombra, un’esaltazione dell’imbruttimento, della libertà dell’imperfetto, un inno all’unicità, all’identità complessa, alla follia che ci abita, al mostro interiore che ci fa paura. L’integrazione nella sua forma autentica è il punto di interesse. Integrare non nascondere, vedere non giudicare e immaginare.
Vorrei che il pubblico fosse testimone e percepisse le crepe e i grovigli del personaggio, riuscendo ad amarlo. Che si domandasse: siamo liberi di essere ciò che siamo, così come siamo? Che percepisse quanto siamo ossessionati dall’aderire a qualcosa di perfetto, quando invece siamo esseri imperfetti e che in fondo siamo tutti un po’ mostri, streghe ammaliatrici, violenti tiranni, vigliacchi alla vita.”