Domani è la Giornata Internazionale della Danza ed io non festeggio. Non posterò un bel niente.
Il 29 aprile ricorre la Giornata Internazionale della Danza: questa ricorrenza, indetta dal Consiglio internazionale della danza dell’Unesco, coincide con il giorno di nascita di Jean-Georges Noverre, considerato un riformatore della danza. È l’occasione per celebrare la danza in tutte le sue discipline. Molte scuole di danza, organizzazioni e compagnie di balletto, organizzano qualcosa di diverso in questa giornata per dare risalto a quest’arte. Roberto Bolle nel 2018 scelse proprio il 29 di aprile per fare un flash mob in Piazza della Scala per lanciare la sua kermesse di danza OnDance.
Ma cosa dovremmo festeggiare domani di diverso da quello che si è fatto fino ora in questa situazione di lockdown mondiale? I teatri di tutto il mondo hanno messo a disposizione da quando sono rimasti chiusi, per circa due mesi, moltissimi spettacoli ed, insieme agli artisti che si mostrano da casa, hanno tenuto vivo il rapporto col pubblico. Ma da parte di chi ci governa non c’è stata neanche una parola rivolta al settore. Non c’è nulla da festeggiare anzi c’è da manifestare tutto il nostro disappunto per questa mancanza di rispetto per la categoria di lavoratori (non si parla solo di ballerini ma di tutto un mondo che ruota attorno ai teatri ed alle scuole di ballo) dimenticata dalle istituzioni.
Oggi ci dicono ancora di restare a casa ed i teatri sono menzionati tra quei luoghi che rimarranno chiusi a tempo indeterminato ; l’arte vista come contenitore per il pubblico (impossibile pensare in questo periodo storico ad una platea gremita) senza considerare però che spettacolo vuole anche dire un folto numero di lavoratori che non sono solo gli artisti.
In qualche paese europeo, ad esempio, le compagnie di balletto cominciano ad allenarsi a turno per mantenere il giusto distanziamento. È un segno che si cerca di trovare nuove soluzioni per ripartire. Preoccupa non sentire un piano per il futuro, preoccupa non vedere al lavoro i rappresentanti dei cittadini in misura uguale per tutti.
Gli artisti si stanno comportando in modo esemplare mettendo a disposizione la propria arte insegnando e mostrandosi in streaming, lo stesso fanno le compagnie proponendo anche spettacoli inediti. Mi chiedo se sia giusta questa generosità. Guai se passasse il messaggio che la danza è gratuitamente a disposizione per distrarre, per regalare un po’ di sollievo in questo periodo terribile. Non bisogna dimenticare che il ballerino che vediamo danzare è il risultato di un investimento in un tipo di formazione che richiede anni di studio. L’artista di oggi è anche colui che ispira migliaia di ragazzini che frequentano le oltre 30.000 scuole di ballo del nostro paese che oggi sono chiuse.
La vita di un danzatore è fatta di sacrifici e di duro lavoro. Un mestiere che lo obbliga tutti i giorni a tornare a studiare alla sbarra anche quando è un professionista. Questo impegno costante, questo rigore, dura anche dopo, quando la carriera si tramuta nella figura del coreografo, dell’insegnante, del maître, del direttore di compagnia. Dunque, per chi desiderasse perorare la causa in favore del settore, questa vita male si conciglia con il tempo da passare nei palazzi istituzionali. E forse sta qui anche la difficoltà di farsi sentire.
Oggi più che mai è necessario che si agisca in maniera decisa ed incisiva. E’necessario che le scuole di danza insieme alle compagnie ed a coloro che li rappresentano, non perdano, per sempre, l’occasione di vedersi riconosciuta l’effettiva esistenza di un indotto importante. Si è sempre parlato della danza come un’arte effimera. Quest’arte è tutt’altro che questo perché appartiene ad un mondo che è sì emozione, ma sopratutto, è parte integrante del PIL nazionale e quindi degno di attenzione , dignità e di rispetto.